C’è una questione che corre parallela all’evolversi nervoso delle decisioni sulle misure anti Covid che il Governo ha adottato appena tre giorni fa con un nuovo Dpcm e che in queste ore sono oggetto di valutazione per un ennesimo riposizionamento a causa dell’impennata dei contagi. Questa questione è il conto economico che lo stesso esecutivo deve pagare per provare a tenere insieme i cocci di una crisi che rischia di andare a colpire i comparti già travolti dalla prima fase della pandemia. Chi paga è lo Stato, chi presenta il conto è il virus. Eccolo: per contrastare la recrudescenza dell’epidemia serviranno circa 17 miliardi. Quasi metà dei 40 miliardi che saranno iniettati nel Paese attraverso la manovra.
Tre miliardi di aiuti per i ristoranti e per le altre attività a rischio chiusura
La forma è ancora oggetto di valutazione e oscilla tra un ristoro a fondo perduto e il credito di imposta, ma è sicuro l’importo che sarà destinato ai ristoranti e a tutte le altre attività che hanno registrato un crollo del fatturato e che rischiano di chiudere. Sul piatto ci sono tre miliardi. L’accelerazione su questa voce di spesa risente dell’impatto che potrebbero avere le misure restrittive già decise - quelle che prevedono orari di chiusura anticipati - e le nuove ipotesi che si spingono fino a un coprifuoco serale.
Nove settimane di cassa integrazione Covid fino a fine febbraio
La nuova tranche è stata pensata anche per attutire il colpo dei licenziamenti che torneranno liberi dal primo gennaio, ma la coperta della cassa Covid va oltre il disincentivo a licenziare (le imprese che richiederanno la nuova cig Covid non potranno farlo). Perché la cassa integrazione si impone ancora come un salvagente obbligatorio per tenere a galla migliaia di imprese e altrettanti lavoratori.
Nella bozza del testo della misura, di cui Huffpost è in possesso, si prevede un massimo di nove settimane di cassa Covid che “devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 28 febbraio 2021”. L’orizzonte temporale è anch’esso un elemento che dice di una manovra risucchiata ancora una volta dall’emergenza. Da marzo sono state messe in campo 36 settimane di cassa Covid (18+18, a loro volta articolate in tranche di 9 settimane ciascuna) e le ultime 18 settimane possono coprire una richiesta di cassa integrazione fino al 31 dicembre. Ma l’emergenza impone la retroattività della nuova tranche al 16 novembre perché a quella data molte aziende avranno già finito le 18 settimane precedenti e quindi si troverebbero senza un sostegno. L’altro estremo dell’orizzonte temporale, il 28 febbraio, dice che la coperta della cassa si deve allungare necessariamente fino a ridosso della primavera e questo anche perché dal primo gennaio scatteranno i licenziamenti.
Un altro elemento che attesta come l’emergenza preme sulla manovra (nelle ultime ore circola anche l’ipotesi di un decreto ad hoc per la nuova tranche di cassa Covid) è il carattere onnicomprensivo della coperta. Inizialmente si pensava di destinare 18 nuove settimane solo al turismo e alla ristorazione. La scelta, come si evince dalla bozza, alla fine è ricaduta su tutte le imprese. L’unica sfumatura è che resterà in campo il paletto del 20% del calo del fatturato: tutte le imprese potranno usufruire della nuova cassa, ma non tutte con lo stesso costo. Sarà di fatto pagata dallo Stato se il calo del fatturato dei primi tre trimestri del 2020 è pari o superiore al 20% rispetto ai mesi corrispondenti del 2019 o se l’attività di impresa è stata avviata dopo il primo gennaio 2019. Se invece il calo è nullo allora si verserà un’aliquota del 18% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate. L’aliquota da versare sarà del 9%, sempre in riferimento alla retribuzione di cui si è detto, se la riduzione del fatturato non è nulla ma è comunque inferiore al 20 per cento.
Almeno due miliardi per il Fondo sanitario nazionale, 350 milioni per il tpl
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