
Forse qualcuno, all’inizio della scorsa settimana, pensava che, con tutta la discesa che i mercati globali hanno accusato nell’ultima settimana di febbraio, il peggio fosse alle spalle. Nient’affatto. La prima settimana di marzo ha mostrato, oltre al decollo della volatilità, che si è mantenuta molto elevata, sui livelli vicini a 50 dell’indice Vix, anche il fallimento del tentativo di rimbalzo, che Wall Street ha tentato in modo più significativo rispetto alle borse europee. Il principale indice azionario USA, SP500, ha terminato venerdì sera praticamente sui livelli che segnava il venerdì precedente, recuperando e poi riperdendo più di 6 punti percentuali. Eurostoxx50, che rappresenta l’azionario di Eurozona, ha fatto peggio, rimbalzando meno e perdendo assai di più, in modo da aggiungere un ulteriore ribasso settimanale del -2,9% al -12,4% della settimana precedente. Non parliamo poi del nostro Ftse-Mib, devastato dal corona-virus che ha aggredito il nostro paese, che agli 11 punti percentuali persi la settimana in cui si è registrata l’accelerazione del contagio, ne ha lasciati per strada altri 5.
Già questo bollettino di guerra basterebbe a piegare l’ottimismo dei più spensierati.
Ma nel week-end è arrivata un’altra tegola su mercati già frustrati dal contagio globale. E’ una tegola politica, che riguarda un nuovo fronte commerciale che si apre in modo violento e rapidissimo. Il mancato accordo nell’ambito dell’OPEC+, come si chiama oggi il cartello che riunisce i produttori di petrolio tradizionalmente alleati a cui si è aggiunta da qualche anno la Russia. L’Arabia Saudita, il maggior produttore di oro nero e leader del cartello, ha proposto al vertice che si è svolto venerdì scorso di attuare un consistente taglio della produzione per sostenere i prezzi che l’atmosfera di recessione mondiale ha depresso ben sotto i 50 dollari al barile. Ma la Russia, che a questi prezzi pensa di poter resistere meglio di altri, nel tentativo di acquisire maggiori quote di produzione, ha rifiutato platealmente, facendo fallire il vertice. Il petrolio già venerdì ha subito un violento calo fino a 41,60 dollari, ma il peggio doveva ancora capitare. Nel week-end l’ira dei sauditi ha mandato in frantumi il cartello. L’Arabia ha tolto ogni limite alla loro produzione e lanciato una guerra al ribasso dei prezzi per danneggiare sia la Russia che i produttori americani di Shale-oil. Il risultato è stato il tonfo del prezzo del WTI Crude Oil addirittura di oltre un terzo del suo valore. Nella notte, sui mercati asiatici è stato segnato un minimo a quota 27,34 $. Non è un errore di stampa ma un calo del -34%. Nel momento in cui scrivo il rimbalzo è minimo ed il prezzo non ha ancora recuperato i 30 dollari al barile.
L’effetto domino sui mercati azionari è stato immediato. Le borse asiatiche hanno perso tra i 4 e i 7 punti percentuali. Shanghai, che ha chiuso a -3% è stato l’indice migliore.
I mercati europei mostrano aperture intorno al -8%, il Ftse-Mib fatica ad aprire, con la maggior parte dei titoli italiani in eccesso di ribasso.
La situazione appare piuttosto preoccupante, al punto che non me la sentirei di escludere che le borse vengano fermate per calmare gli animi.
L’evolversi del contagio da coronavirus, che vede l’Europa ormai in preda all’epidemia e gli USA che la misureranno meglio nei prossimi giorni, appena aumenteranno i test sulla popolazione (la più grande potenza economica del mondo la scorsa settimana non aveva ancora i tamponi né alcun piano di tutela della salute pubblica), ha materializzato sui mercati la classica situazione chiamata “cigno nero”, così come Nassim Taleb definì un evento negativo raro, improvviso ed imprevisto, in grado di suscitare effetti depressivi a catena sui mercati e nell’economia.
Nel week-end l’improvvisa guerra del petrolio ne fa posare un altro sui mercati, anche se questo non dipende da eventi naturali ma esclusivamente da scelte politiche irresponsabili di leader politici.
Il crollo del petrolio, se non verrà in fretta riassorbito da un rapido rinsavimento dei protagonisti, comporterà effetti deflazionistici rilevanti ed aggiuntivi su un’economia globale che si sta già avviando verso la recessione. Il peso delle società estrattive è ancora piuttosto significativo sugli indici, che verranno trascinati al ribasso dal tracollo di queste società. Non vanno poi ignorati gli effetti sul sistema creditizio della possibile catena di fallimenti che interesserà il settore, dove troppi soggetti non sono in grado di resistere a lungo con prezzi di vendita inferiori ai 40 dollari al barile.
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